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Hofmannsthal

«La forza plastica, scrisse Hofmannsthal, ha le radici nella giustizia; in nome di quest’esigenza etica egli perseguì la compiutezza nel limite e nel contorno, nella linea e nella chiarezza, inalzando il senso della forma e della norma come baluardo contro la seduzione dell’ineffabile e dello sfacelo, di cui pure egli si era fatto portavoce nei suoi esordi straordinariamente precoci e pericolosi di ragazzo prodigio.» [Magris, p. 9]

«Il mio spirito mi induceva a vedere ogni cosa che comparisse in siffatti discorsi, vicina in modo inquietante: come una volta avevo visto in una lente di ingrandimento una zona della pelle del mio mignolo, e mi era parsa una pianura con solchi e buche, così ora mi accadeva con gli uomini e le loro azioni. Non riuscivo più a coglierli con lo sguardo semplificatore dell’abitudine. Ogni cosa si frazionava, e ogni parte ancora in altre parti, e nulla più si lasciava imbrigliare in un concetto. Una per una le parole fluttuavano intorno a me; diventavano occhi, che mi fissavano e nei quali io a mia volta dovevo appuntare lo sguardo. Sono vortici, che a guardarli io sprofondo con un senso di capogiro, che turbinano senza sosta, e oltre i quali si approda nel vuoto.» [Hofmannsthal, p. 43]

«[…]; mi sentivo come uno che fosse rinchiuso in un giardino, non popolato che da statue senza occhi; di nuovo cercai rifugio in liberi spazi.» [Hofmannsthal, p. 45]

«[…], conduco una vita incredibilmente vacua e mi torna difficile celare a mia moglie la mia intima apatia, e alla mia gente l’indifferenza che provo per i problemi inerenti alle mie proprietà. Soltanto la buona e severa educazione di cui sono debitore al mio defunto padre, e la precoce abitudine a non lasciare infruttuosa una sola ora della giornata, credo conservino alla mia vita un bastevole appoggio e il decoro che si conviene al mio rango e alla mia persona. Sto rifacendo un’ala della mia casa, e riesco talvolta ad intrattemermi con l’architetto sui progressi del suo lavoro; amministro i miei beni, e i miei fittavoli e dipendenti mi troveranno forse meno loquace di prima, ma non meno benevolo.» [Hofmannsthal, p. 53]

↑ Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos [1902], 1974, Rizzoli, Milano (tit. orig. EIN BRIEF, trad. Marga Vidusso Feriani)

«[…]: gli oggetti hanno un’esistenza retrostante, annidata dietro la loro facciata e sotto la loro superficie, ed è proprio l’intuizione di questa seconda – o terza, o quarta – realtà che mette fuori gioco le possibilità del linguaggio. […], per Lord Chandos ogni minimo e fuggevole dettaglio è essenziale e insostituibile; è una sterminata congerie di realtà assolute e non permette la gerarchia, l’organizzazione e la selezione necessarie ad ogni operazione linguistica, espressiva o comunicativa. […] All’aristocratico Lord nutrito di cultura umanistica il mondo si rivela non un cosmo gerarchicamente ordinato, bensì un brulicare di esenze incoeribili ad ogni sistemazione, come nel pensiero sciamanico.» [p. 11]

«Impersonale apparato di registrazione del reale, Lord Chandos è anch’egli contrassegnato da una ipersensibilità che gli impedisce qualsiasi distacco dall’esperienza e qualsiasi superamento del vissuto: ignara di nessi causali e di succesione temporale, la sua coscienza vive soltanto in un’estensione spaziale che si dilata incessantemente, in una perfetta sincronia di eventi, sensazioni e pensieri ricondotti tutti sull’asse della simultaneità; egli non può archiviare alcun attimo della vita, tutto continua a vivere in lui in un lancinante conflitto che minaccia di far saltare le vcerniere della sua personalità, per l’eccesso di laceranti contenuti che vi sono compresi. Lord Chandos vive cioè nella persona il crollo dell’ordine, prima ancora di viverlo nella scrittura, e decide perciò di sparire, di mimetizzarsi e dissimularsi nel silenzio.» [p. 12]

↑ Claudio Magris, “L’indecenza dei segni”, in Hugo von Hofmannsthal, Lettera di Lord Chandos, p. 9-14

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