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Il cargo, lo yacht e il piroscafo

Il romanzo di Georges Simenon è diviso in tre parti, alle quali corrispondono tre navi molto diverse: il cargo, lo yacht, il piroscafo.

La «nave nera» con a bordo il protagonista del romanzo Joseph Mittel, era il cargo Croix de Vie , stazza «cinquemila tonnellate» [GS 1936, p. 25] e nell'oceano lasciava una «scia immacolata» [GS 1936, p. 64], mentre lo yacht bianco, «grande quasi quanto le navi della Grace Line», dotato di motori diesel, con sessanta uomini di equipaggio, proveniva dalle Galàpagos ed era alla sua prima crociera [GS 1936, p. 228-9]. Dall'ufficiale di macchina, il tedesco Franz Vogel, comandante a tutti gli effetti, apprendiamo che «l'imbarcazione era costata un milione e mezzo di dollari. Era stata varata da due anni, ma prima di quel viaggio il proprietario l'aveva utilizzata soltanto per una minicrociera di due giorni davanti New York» [GS 1936, p. 232-3], «lo yacht filava a venti nodi, più del doppio della velocità del cargo, e veniva voglia di starsene a poppa per ore a guardare la scia luccicante». Era dotato di bussola giroscopica e sonda acustica. [GS 1936, p. 241]

Per quanto riguarda il cargo, sulla base dell'analisi del romanzo e contando sulla competenza dell'Autore in tema di navigazione marittima [SGE 1987, p. 105], abbiamo selezionato tre navi cargo della stazza intorno a quella indicata, operative negli anni Trenta del secolo scorso, per dare un'immagine al Long course. La lunghezza era tra i 110 e i 130 metri, con una larghezza tra i 16 - 18 metri; la velocità intorno ai 12 - 16 nodi. Nell'illustrazione del romanzo prepubblicato nel 1936 con il titolo Le couple traqué sul quotidiano «Le Petit parisien» [SGE 1987, p. 413], l'anonimo disegnatore ben definisce pur nella scorciata vista di prua, le caratteristiche della nave da carico [JR-AF 2017], e ci conforta nella scelta delle immagini di riferimento.

Eskin nella sua opera trattando del romanzo del 1936 conferma che «L'interesse [di Simenon] per la navigazione traspare dalla realistica descrizione della vita di bordo, attraverso una straordinaria ricchezza di dettagli che vanno dal funzionamento delle macchine al costo del trasporto della merce» [SGE 1987, p. 167], dopo averci ricordato in maniera circostanziata che lo stesso, a partire dal 1929, «Si mette a studiare velocemente le tecniche di navigazione, impara perfettamente l'uso della bussola e del sestante, delle tavole dei logaritmi e dell'annuario delle maree avvicinandosi alle tecniche più avanzate della navigazione a vela». [SGE 1987, p. 105]

Fonte delle immagini, da sinistra: 1) cargo Andrea Gritti, varato nel 1939 a Monfalcone, 6338 GRT. 2) cargo Tembien (1936), varato nel 1914 a Bremerhaven (Germania), 5130 GRT. 3) cargo Tureby, varato nel 1935 a Copenhagen (Danimarca), 4372 GRT, in Capitani L. C. e D. M. , marina-mercantile-italiana.net , URL consultato il 2 febbraio 2017.

Non è difficile farsi un'idea del parco degli luxury yachts, che solcavano gli oceani negli anni Trenta, sono poco più di una decina, per lo più restaurati sono operativi nelle disponibilità di reali, di ricchi facoltosi o uomini d'affari di successo. Tra gli ottanta e i centotrenta metri fuori tutto, avevano una velocità di crociera intorno ai quindici / diciassette nodi ed erano affidati ad equipaggi composti da oltre cinquanta unità tra ufficiali e marinai, per la gioia e il piacere di non più di due o tre dozzine di ospiti. Ricordiamo lo sfortunato Delphine (USA, 1921), lo splendido steam yacht Nahlin (UK, 1930), ma segnaliamo il Savarona (1931) il più grande al mondo quando venne varato, segnalato come "probably the most sumptuously fitted yacht afloat" nel 1949 dall'importante annuario Jane's Fighting Ships. Alcune sue referenze fanno pensare che possa essere il riferimento di Simenon. Per primo un aspetto mondano, che lo presentò al grande pubblico: nel 1933, la nave servì da set cinematografico, nelle acque tedesche del mare del Nord, nel film di fantascienza Gold del regista austriaco Karl Hartl, che uscì l'anno dopo oltre che in tedesco anche in lingua francese. Per secondo, il fatto che la nave fosse dotata di Sperry gyro-stabilizers ossia qualcosa di più della bussola giroscopica che Simenon inserisce tra gli elementi tecnologici di spicco dello yacht bianco [GS 1936, p. 241] e, forse, un autopilota. Lawrence B. Sperry (Chicago, 1892 – Canale della Manica, 1923) ne è l'inventore, lo aveva sperimentato in Francia sin dal 1914, mentre il padre Elmer Ambrose Sperry lo è stato della gyrocompass. Infine non può sfuggire la fabbricazione tedesca della nave costruita nei cantieri di Hamburg e dell'uffficiale di macchina Vogel «fatto venire dalla Germania, uno dei massimi esperti di motori diesel» [GS 1936, p. 229], «fiero dei suoi motori [diesel], i più belli, sosteneva, che fossero mai stati installati a bordo di uno yacht» [GS 1936, p. 332]. Meritano un cenno anche il bellissimo Dannebrog (Danimarca, 1932) e Philante (UK, 1937). [WP 2017]

Fonti delle immagini, da sinistra: 1) Lynx IV, Le SS Delphine seul yacht à vapeur encore fonctionnel, ici quitant le port de Nice, 2008, in commons.wikimedia.org. Varato nel 1921 a River Rouge (Michigan, USA), per Horace Dodge, co-fondatore della Dodge Brothers, fabbrica di automobili. 2) Tim Trent (at Ship Spotting World), Motor Yacht Nahlin, photographed in Dartmouth, Devon on 17 July 2010, in commons.wikimedia.org. Varato nel 1930 a Clydebank (UK), su commissione di Lady Henriette Yule, erede di Sir David Yule. 3) Afalahat, Savarano yatch, in commons.wikimedia.org. Costruito nel 1931 nei cantieri di Hamburg, per l'erditiera americana Emily Roebling Cadwallader, nipote di John A. Roebling, l'ingegnere progettista del ponte di Brooklyn; dal 1938, con varie vicissitudini, è sempre stato nelle disponibilità del governo della Turchia, salvo un decennio circa nelle mani di un facoltoso turco. 4) Erik Christensen, Porkeri Website, Royal Yacht Dannebrog in Vágur, Faroe Islands, 21 June 2005, in commons.wikimedia.org. Varato nel 1932 a Copenhagen, è dei reali di Danimarca, ha navigato per certo nel mar dei Caraibi. 5) Ulf Larsen, Royal Norwegian Yacht, KS Norge, in Stockholm, September 2005 during the Norwegian Royal family visit. Picture shot at Skeppsbron just by the Stockholm Royal Castle, 1 September 2005, in commons.wikimedia.org. Costruito nel 1937 per Thomas Sopwith, ingegnere aeronautico e ricco uomo d'affari, nei cantieri navali di Gosport (Hampshire, UK), con il nome di Philante. Dal 1947 è nelle disponibilità dei reali di Norvegia. URL consultati il 2 febbraio 2017.

«Un buon piroscafo» [GS 1936, p. 342] il Mooltan porterà via due co-protagonisti del romanzo e un bambino che così «cominciava la sua vita da cargo!» [GS 1936, p. 349], con destinazione l'Australia. Si tratta di un collegamento di linea «[...] avrebbe attraccato per poi ripartire la mattina seguente» [GS 1936, p. 347]. Appartenuto sicuramente alla londinese P. and O. Company (Peninsular & Oriental Steam Navigation Co.) che nel 1937 ha celebrato il proprio centenario con un party a bordo nel porto di Brisbane, sulla costa orientale dell'Australia. [TCMB 1937]

Il Mooltan, commissionato nel novembre 1918 e varato nel febbraio 1923, fu la prima nave P&O con più di 20.000 tonnellate di stazza lorda. Quasi raggiungeva i 200 metri di lunghezza, per una larghezza di oltre 22, e quasi 10 di pescaggio. Tutte le cabine erano sopra il ponte principale ed erano dotate di oblò, le suite speciali erano sul ponte di passeggiata. Poteva accogliere 327 ospiti in prima classe e 329 in seconda, oltre a 422 di equipaggio. La velocità dichiarata era di sedici nodi. [POH 2017] Come il comandante di lungo corso Mopps, Simenon conosceva il piroscafo, vi si era imbarcato nella primavera del 1935 per rientrare in Francia (Marsiglia) dall'Australia «via mar di Timor, oceano Indiano (scali a Ceylon e Bombay), mar Rosso e canale di Suez (ultimi scali a Alessandria e Malta», come puntualmente ci ha fatto sapere Gianni Da Campo [SGE 1987, p. 365, nota 1]

Fonte dell'immagine: Foto Mooltan at anchor, in poheritage.com , P&ORef: PH-02800-00 [POH 2017]

Il termine cargo di uso comune anche nella nostra lingua deriva dalla voce inglese cargo-boat e, per la prima parte, dallo spagnolo cargo (da cargar = caricare). Un vecchio dizionario della lingua italiana, dopo aver dato questa definizione, ne propone una traduzione tanto affascinante quanto desueta: «nave oneraria, cioè i somieri del mare», quei grandi navigli a vapore, costruiti apposta per trasportare le merci voluminose. [AP 1905-63] Questo aspetto è reso magistralmente dall'Autore, quando in prossimità del canale di Panana occorre movimentare il carco. «[...] furono aperti o quartieri di boccaporto, messi in funzione i verricelli, e si cominciò a lavorare nelle stive, dove gli uomini apparivano come esseri microscopici. Il comandante stesso rimaneva da basso, muovendosi fra casse e barili e impartendo ordini al nostromo che gli stava sempre appresso. [...] Faceva caldo. La maggior parte dei marinai andava in giro in mutande e tutti si asciugavano di continuo la fronte con il braccio. Il fracasso intermittente prodotto dai vericelli copriva ogni altro suono. veniva calato il gancio, qualcuno lo afferrava e lo fissava ai cavi che legavano una cassa. Poi il carico saliva, ondeggiando sopra le teste, mentre braccia tese ne accompagnavano alla bell'e meglio il movimento.» [GS 1936, p. 67-8]

Il cargo del romanzo, con caldaie a carbone [GS 1936, p. 77] aveva accolto Joseph e la compagna Charlotte Godebieu, poco più che ventenni in fuga da Parigi, nel profondo e ben riparato porto di Dieppe, alla foce del fiume Arques, sulla costa francese della Manica, con «le luci rossa e verde dell'imboccatura del porto, mentre dall'alto il fascio luminoso del faro a intervalli regolari rischiarava la cappella di Notre-Dame-de-Bon-Secours, abbarbicata sulla scogliera» [GS 1936, p. 21-2 e 26]

Fonte dell'immagine: Foto d'epoca della chiesa Notre-Dame-de-Bon-Secours a Dieppe, da Gunter G. Gillot Jr, in eucmh.com (sito dell'European Center of Military History - Non Profit), URL consultato il 2 febbraio 2017.

Si allontanarono ben poco, una ventina di miglia ad ovest, in vista delle falesie di Fécamp – le più alte di tutta la Normandia – e del chiarore di Le Havre, per attendere un trasbordo. [GS 1936, p. 30]

Questo tratto di costa era sicuramente noto a Simenon – attento valorizzatore delle tecnologie per la navigazione – in quanto campo degli esperimenti che portarono al perfezionamento del radiogoniometro [VC et alii 2011] da parte degli ingegneri della Regia Marina Italiana Ettore Bellini (Foligno, 1876 – Ray-sur-Saône, 1943) e Alessandro Tosi (1866 - 1936), che collaborarono con Guglielmo Marconi (Bologna, 1874 - Roma, 1937). Le stazioni furono localizzate opportunamente in tre località francesi Barfleur, Le Havre e Dieppe [TB 2005], coprendo un arco costiero di oltre duecento chilometri sulla Manica.

Il cargo è una nave da carico mercantile, adibita a viaggi liberi o a viaggi su rotte e date / orari prestabiliti. È evidente che per quanto attiene al personale, le condizioni di lavoro sono ben diverse. L'autore usa queste due modalità di navigazione commerciale per entrare nelle vite del protagonista e dei personaggi, tanto da far dire a Jolet, sposato con tre figli, che si preparava a sostenere l'esame di macchinista [GS 1936, p. 46], e al momento capofuochista a bordo del cargo Croix de Vie , «Ah, se mi avessero preso su uno di quei tram!» [GS 1936, p. 338], riferendosi alla seconda tipologia.

La spiegazione avviene quando Mittel chiede a Jolet a bordo del cargo il primo giorno di bel tempo, «"Perché sulla poppa della nave c'è il nome del porto di La Rochelle, dal momento che non ci va mai?" aveva chiesto. "Il porto di immatricolazione di un cargo" aveva risposto l'altro "è come il paese di nascita di un uomo. Non sempre ci ritorna. Arrivi in un porto. Carichi. Credi di salpare per la Spagna, per esempio, e invece ti spediscono in Germania. Pensi di rientrare dopo una settimana e ti affibbiano un carico per il Baltico ... Non è come per i tram ...". "Quali tram?". "Si chiamano così i cargo che fanno sempre la stessa rotta, a orario fisso, indipendentemente dall'entità del carico. Partono per Bordeaux il tal giorno, fanno scalo ventiquattr'ore a Nantes, poi a le Havre, a Dunkerque, a Rotterdam, e tornano indietro per la stessa rotta [...]» [GS 1936, p. 338]. Episodio che nel romanzo il giovane ricorda quando – malato a Buenaventura – ripensa all'avventuroso imbarco a Dieppe. Un esempio di tram – o meglio tramway, come ha annotato Gianni Da Campo, fine conoscitore dell'opera simenoniana [SGE 1987, p. 361, nota 27] – è il vapore postale Polarlys tra i fiordi norvegesi. [MP 2017]

C'è un'altra navigazione nel romanzo. Si tratta dei due viaggi da Buenaventura al Chocó una volta, e il contrario più avanti, dopo l'esperienza della ricerca dell'oro nei «giacimenti alluvionali» [GS 1936, p. 126] del Bajo Chocó [GS 1936, p. 201]. È un viaggio di una decina di giorni [GS 1936, p. 127], navigando dodici ore al giorno [GS 1936, p. 185], su piroghe [GS 1936, p. 184] o «su esili imbarcazioni, munite di bilanciere di bambù su ciascun fianco [quando] navigavano nell'oceano, a qualche centinaio di metri dalla riva, dove cominciavano le onde». [GS 1936, p. 127]

Un viaggio lungo larghi fiumi e tra paludi a perdita d'occhio e mangrovie dalle radici ritorte, in cui orientarsi alla ricerca di un «estero». Il termine idrografico estero in generale indica la condizione di palude o di depressione inondata, sono quindi zone pianeggianti, con scarso drenaggio; si possono designare anche i terreni limitrofi a fiumi o laghi occupati dall'acqua di questi corpi idrici, che esonda per accumuli di precipitazioni meteorologiche. [PG 2012] Questo termine assume altri significati a seconda del contesto geografico ed ecologico in cui si colloca. La «provincia di Chocó» [GS 1936, p. 125] è una delle parti più piovose del mondo. Nel romanzo estero è «una specie di piccolo canale nel reticolo fluviale» [GS 1936, p. 126] che nel dedalo della diffusa ramificazione idrografica, rappresentava talvolta il «canale laterale» [GS 1936, p. 127] ovvero il collegamento tra i veri corsi d'acqua. [IGAC 2003]

Fonti dell'immagine: nostra elaborazione con: a sinistra, Boca Cacagual e la foce del Rio San Juan, a sud della località Charambira, in google.it/maps (immagini 2017 Landsat / Copernicus, Terrametrics, Data SIO, NOAA, US Navy, NGA, GEBCO, Data LDEO-Columbia, NSF, NOAA, dati cartografici 2017 Google), URL consultato il 2 febbraio 2017, e a destra, Mapa Físico Político Departamento del Chocó [IGAC 2003], particolare della costa tra il Rio San Juan e la città di Buenaventura, con evidenziata la porzione di territorio anfibio dell'immagine satellitare

«Quando l'aria era tersa, verso l'interno si intravedevano, lontanissimi, i contrafforti della cordigliera delle Ande, ma fino ai piedi delle montagne si estendeva la solita palude, con la vegetazione sempre più intricata, spesso impenetrabile. E verso l'oceano, ancora palude, mangrovie, qualche banco di sabbia» [GS 1936, p. 126]

Alla fine del romanzo, delirando ma con ostinato riferimento a Barranquilla, città colombiana sull'Atlantico, pensava «"Avrò visto quel nome sulla carta, quando abbiamo attraversato il Golfo del Messico ..."» [GS 1936, p. 339 e 345] si autodenuncia «Lui era il cargo ...» [GS 1936, p. 350]. Ma si era chiesto perchè «Non avrebbe forse potuto nascere tram anzichè cargo?» [GS 1936, p. 339] E si annodano i fatti del mare con quelli dell'animo umano nella scrittura di Simenon.

 

[GS 1936] Georges Simenon, Cargo, Adelphi, Milano 2006 (tit. orig. Long cours , 1936, trad. Marco Bevilacqua) «Scritto nel 1935 e pubblicato nel 1936, Long cours è uno dei sei romanzi in cui Simenon mette a frutto le impressioni immagazzinate durante il lungo viaggio che, dal dicembre del 1934 al maggio del 1935, gli ha permesso di visitare Panama, la Colombia, le Galàpagos, il Perù, Tahiti, la Nuova Zelanda, l'India, il Mar Rosso ...» [dal risvolto di copertina]. Prima pubblicazione in Italia, come Il cargo, Mondadori - Medusa, Milano 1952, (trad. G. Monicelli)

[AP 1905-63] Alfredo Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1963 (decima edizione, prima 1905), pag. 112.

[IGAC 2003] República de Colombia, Mapa Físico Político Departamento del Chocó (Mapa Digital Integrado), Istituto Geografico Agustin Codazzi, 2003, in vmapas.com , URL consultato il 2 febbraio 2017.

[JR-AF 2017] Long cours [Le couple traqué] Roman, in association-jacques-riviere-alain-fournier.com (Association des Amis de Jacques Rivière et d'Alain-Fournier), URL consultato il 2 febbraio 2017. Il romanzo esce in appendice al quotidiano tra il 19 gennaio e il 24 marzo 1936, in sessantasei puntate.

[MP 2017] Massimo Pasqualin, A bordo del Polarlys, in 7 gennaio 2017, in massimopasqualin.wixsite.com/massimopasqualin

[PG 2012] Pablo Guerrero, Estero, 12 gennaio 2012, in geografia.laguia2000.com (Geografía general), URL consultato il 2 febbraio 2017.

[POH 2017] scheda informativa e fotografia Mooltan (1923), in poheritage.com (P&O Heritage Collection), URL consultato il 2 febbraio 2017. Sono note altre due navi della stessa compagnia con il medesimo nome per gli anni 1861 e 1915.

[SGE 1987] Stanley G. Eskin, Simenon. A critical biography, trad. in it. a cura di Gianni Da Campo, Georges Simenon, Marsilio, Venezia 1996, da cui citiamo.

[TB 2005] Thierry Bressol, Bellini et Tosi à Dieppe, 28 agosto 2005, in souvenirs-de-mer.cloudns.org , URL consultato il 2 febbraio 2017. L'autore è stato Officier radio-électronicien de 1ère classe de la marine marchande tra il 1978 e il 1991.

[TCMB 1937] 850 Person attend cocktail party on board the Mooltan - P. & O. Line Centenary Celebrated, in The Courier-Mail Brisbane, 8 settembre 1937, pag. 24, in trove.nla.gov.au (National Library of Australia), URL consultato il 2 febbraio 2017.

[WP 2017] Wikipedia, voce "List of motor yacht", in en.wikipedia.org , URL consultato il 2 febbraio 2017.

[VC et alii 2011] Vincenzo Carulli, Giuseppe Pelosi, Stefano Selleri, Paolo Tiberio, Il contributo della Marina Militare Italiana allo sviluppo delle radiocomunicazioni, in V. Cantoni, G. Falciasecca, G. Pelosi (a cura di), Storia delle telecomunicazioni, Firenze, University Press, 2011, vol. I, cap. «Le origini», pag. 158.

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