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Gioco di ombre e di forme

La s-cultura di Erri De Luca.

​«[…] La nudità è cosa divina: è una parte delle opere della mano di Dio stesso: se Iddio non voleva che fossero nei corpi nostri alcune parti, egli non le creava: tutto era possibile alla sua onnipotenza: nè dobbiamo noi vergognarci ritrar ciò ch'egli ha fatto, ma sempre però con pudore e col velo di quella verecondia, di cui ha bisogno non la natura nell'innocenza della sua creazione, ma nella malizia della sua prevaricazione.

La sconcezza non sta nel nudo, sta nell'atto nell'intenzione che il vizioso artista fra travedere: penso anzi che la nudità, quando si apura e di squisita bellezza adorna, ci tolga alle perturbazioni mortali, e ci trasporti a quei primi temi della beata innocenza: e di più che ella ci venga come una cosa spirituale ed intellettuale, e ci innalzi l'animo alle comtemplazioni delle cose divine, le quali non potendo ai sensi essere manifeste per la loro spiritualità, solo per una eccellenza di forme ci possono essere indicate ed incendiarci della loro eterna bellezza, e distaccarci ancora dalle imperfette cose terrestri. […]» Antonio Canova, Pensieri sulle arti.

Fonte dell'immagine: The Works of Antonio Canova in Sculpture and Modelling, engraved in outline by Henry Moses; with descriptions from the italian of the Countess Albrizzi and a biographical memoir by Count Cicognara, vol. III, Septimus Prowett, London 1828; per l'opera di Canova, cfr. Apollo incorona se stesso, Alma Mater Studiorum Università di Bologna - Dipartimento di Beni Culturali, Laboratorio fotografico e multimediale, patrimonioculturale.unibo.it , URL consultato il 29 settembre 2016

Nell'ultimo romanzo di Erri De Luca il protagonista è un Cristo: «una statua in marmo, un crocifisso a grandezza naturale.» (pag. 25) eseguita tra il 1920 e il 21 (pag. 28 e 31) da «un blocco di alabastrino scolpito con intensa precisione» (pag. 25, corsivi e/o neretti miei)

E' l'«ultima opera» (pag. 29) «di un giovane artista dei primi del 1900» (pag. 26) reduce dalla Prima guerra mondiale, che morirà «assiderato sulla cima di una montagna […]». (pag. 29)

Il «valente artigiano» (pag. 40) voce narrante diplomato al liceo artistico (pag. 11), «prossimo ai sessanta» (pag. 12), ritenuto «artefice» (pag. 37) ora incaricato del restauro che si concretizza nel ripristino dell'opera, si documenta.

«[…] un colpo di fortuna. Un mensile pubblicò la foto della statua originale. L'immagine occupa mezzapagina, comunque mi serve la lente d'ingrandimento che porto in tasca per migliorare la mia vista. Osservo la forma della natura esposta.» (pag. 30)

«Faccio una fotocopia della pagina con la fotografia, annata 1921, giorno 24 dicembre. Alla vigilia di Natale lo scultore invita la stampa locale a una visita privata. Sa già che la statua sta per essere guastata dal panneggio. Toglie il lenzuolo.

Il cronista riferisce che fu attesa l'ora del tramonto, per l'effetto di luce arrossata sopra il marmo. prese aspetto di carne, le ombre mossero le forme.» (pag. 31 e in quarta di copertina)

L'artifice (pag. 37) lavora «dentro una rimessa a piano terra, nel cortile della canonica» (pag 25), «in una città sul mare, in fondo alle discese» (pag. 23), lui uomo delle «montagne sapute a memoria» (pag 11).

«Spiego al prete [committente del restauro, nda] che devo fermarmi. Le tracce del panno sono state eliminate, devo passare alla riproduzione della natura mancante. Non ho ancora trovato il marmo adatto. Gli dico che mi serve osservare statue di nudi dell'antichità, perciò vado al Museo Archeologico di Napoli. Ci sono stato nell'altro secolo a studiare le terrecotte e i bronzi di Vincenzo Gemito, dopo il liceo artistico» (pag 69).

Sono «i piccoli soggetti ignudi» di questo artista, che gli tornano in mente, mentre si deve occupare di «nudi adulti» (pag. 70). Stimolante il riferimento all'opera e alla persona di Vincenzo Gemito (Napoli, 1852 - 1929), che torna significativamente a citare «Ho preso un libro con me, un saggio su Vincenzo Gemito. Lo apro, leggo.» (pag. 94), prima di cominciare la modellazione scultorea. Non si può non fare cenno al piccolo bronzo dove lo scugnizzo - questa volta - diventa Acquaiolo (1881): una prima versione della statuetta ha le mutande perchè destinata a Francesco II, il re di Napoli in esilio a Parigi.

L'artefice - sin da studente settentrionale - conosce bene la produzione di Gemito, attraverso la lettura del citato volume di quasi duecento pagine sulla vita e le opere, curate dal poeta e scrittore Salvatore Di Giacomo, edito nel giugno 1905, e le «visite alle collezioni private» accompagnato dal libraio Raimondo che condivideva «la sua preferenza» (pag. 71).

Molte saranno le scoperte intorno alla scultura, tutte frutto del rapporto tattile che il restauratore instaura con la statua.

Il nuovo materiale che introduce si differenzia - come è ovvio - dall'alabastrino di colore chiaro con striature ondulanti di colore avana chiaro tendenti al giallo. E' prima del suo intervento «un piccolo blocco di alabastrino, estratto da una cava usata solo per sculture. Ha venature di senape, il suo nome preciso è travertino acquasantano.» (pag. 81)

«Nello stanzone accosto il pezzo al bianco della statua. E' un'altra materia, diverso il colore. Sarà evidente l'aggiunta. […]» (pag. 84) «Spesso il colore di pelle della natura è diverso dal resto del corpo» (pag. 85) E' una prova della conoscenza sull'argomento, la storia dell'arte appresa al liceo - ben nota all'Autore - consegna al riguardo un magistrale saggio (di anatomia e delle regole proporzionali) con l'opera di Francesco Hayez, Atleta trionfante, che nel 1813 gli valse la vittoria del primo premio di nudo istituito da Antonio Canova presso l'Accademia romana di San Luca, dove ancora è custodito.

Il travertino acquasantano di colore chiaro con venature oscillanti come quello della statua ma di colore marroncino chiaro, è sufficiente a risultare diverso. La denominazione trova origine dall'attivita estrattiva di Acquasanta Terme, nell’alta valle del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, che abbiamo imparato a conoscere recentemente a causa del terremoto devastante un ampio comprensorio tra il Lazio e le Marche; e da ultimo per il ripugnante furto di computer destinati agli studenti della locale scuola, avvenuto in un giorno di questo fine settembre 2016.

 

• Erri De Luca, La Natura esposta, Giandomenico Feltrinelli Edotore, Milano 2016

Fonte dell'immagine: Copertina dell'edizione Feltrinelli, feltrinellieditore.it , URL consultato il 29 settembre 2016

Antonio Canova. Pensieri sulle arti, Edizioni Amadeus, Montebelluna (Treviso) 1989, con un saggio di Manlio Brusatin. I Pensieri sulle arti apparvero col titolo Pensieri di Antonio Canova su le Belle Arti, a cura dell'abate Melchior Missirini dietro sollecitazione di Leopoldo Cicognara, a Milano nel 1824. E' un materiale raccolto direttamente dalla viva voce dell'artista, presentato sotto forma di aforismi. La citazione è dal paragrafo XLV. [Il posto della vergogna], pag. 37-8.

Si vedano almeno i due disegni:

- Studio dal gruppo di Castore e Polluce, circa 1779-80, disegno a matita dura su carta avorio, 44,3 x 30 cm. Bassano del Grappa, Museo Civico;

- Accademia di nudo virile supino su di un masso, circa 1780, disegno a matita, 48,5 x 58 cm. Bassano del Grappa, Museo Civico.

• per Vincenzo Gemito, si vedano:

- Emanuela Bianchi, voce "Gemito, Vincenzo" in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1999, vol. 53, p. 52-56, treccani.it , URL consultato il 30 settembre 2016

- Vincenzo Gemito, Acquaiolo, 1881, Bronzo probabilmente fuso dall'artista, 53,6 x 21,3 cm, Parigi, Musée d'Orsay, in www.musee-orsay.fr/it/collezioni/opere-commentate , URL consultato il 30 settembre 2016

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