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Il gelso del barone

«Dall'olmo, sempre cercando dove un ramo passava gomito a gomito con i rami d'un'altra pianta, si passava su un carrubo, e poi su un gelso. Così vedevo Cosimo avanzare da un ramo all'altro, camminando sospeso sul giardino.

Certi rami del grande gelso raggiungevano e scavalcavano il muro di cinta della nostra villa, e di là c'era il giardino dei D'Ondariva.» (pag. 17-8)

«Fu un pomeriggio che non finiva mai. Ogni tanto si sentiva un tonfo, un fruscio, come spesso nei giardini, e correvamo fuori sperando che fosse lui, che si fosse deciso a scendere. Macché, vidi oscillare la cima della magnolia col fiore bianco, e Cosimo apparire al di là dal muro e scavalcarlo.

Gli andai incontro sul gelso. Vedendomi, perve contrariato; era ancora arrabbiato con me. Si sedette su un ramo del gelso più in su di me e si mise a farci delle tache con lo spadino, come se non volesse rivolgermi parola.

– Si sale bene sul gelso, – dissi, tanto per parlare, – prima non c'eravamo mai saliti ...

Lui continuò a scalfire il ramo con la lama, [...]» (pag. 28)

«– Vado a vedre cosa vogliono. Poi ti vengo a raccontare, –dissi in fretta. Questa premura d'informare mio fratello, l'ammetto, si conbinavaa una mia fretta di svignarmela, per paura d'esser colto a confabulare con lui in cima al gelso e dover divider e con lui la punizione che certo l'aspettava. [...]

Quando tornai era ancora lì; aveva trovato un buon posto per star seduto, su di un tronco capitozzato, teneva il mento sulle ginocchia e le braccia strette attorno agli stinchi.» (pag. 30)

«[...], dovunque s'andasse, avevamo sempre rami e fronde tra noi e il cielo. L'unica zona di vegetazione più bassa erano i limoneti, ma anche là in mezzo si levavano contorti gli alberi da fico, che più a monte ingombravano tutto il cielo degli orti, con le cupole del pesante loro fogliame, e se non erano fichi erano ciliegi dalle brune fronde, o più teneri cotogni, peschi, mandorli, giovani peri, prodighi susini, e poi sorbi, carrubi, quando non era un gelso o un noce annoso. Finiti gli orti, cominciava l'oliveto, grigio-argento, una nuvola che sbiocca a mezza costa. In fondo c'era il paese accatastato, tra il porto in basso e in su la rocca; ed anche lì, tra i tetti, un continuo spuntare di chiome di piante: lecci, platani, anche roveri, una vegetazione più disinteressata e altera che prendeva sfogo – un ordinata sfogo – nella zona dove i nobili avevano costruito le ville e cinto di cancelli i loro parchi.» (pag. 34-5)

«[...], corsi nel parco e mi misi ad aspettarlo sull'ultimo gelso vicino al muro dei D'Ondariva, perchè lui era già scomparso giù per la magnolia.» (pag. 63)

«Gli olivi, per il loro andar torcendosi, sono a Cosimo vie comode e piane, piante pazienti e amiche, nella ruvida scorza, per passarci e per fermarcisi, sebbene i rami grossi siano pochi per pianta e non ci sia gran varietà di movimenti. __ » (pag. 84)

[...] «» (pag. __) –

• Italo Calvino, Il barone rampante [1957], 1993, Palomar e A. Mondadori Editore, Milano

Fonte dell'immagine: Mauro Giancaspro, Il ritorno di Italo Calvino. Quando gli alberi diventano protagonisti, 16 aprile 2016, in Wall Street International - Cultura, URL consultato il 10 settembre 2016. Ci altre cinque immagini veramente interessanti.

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