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Ninfee, Giverny, Monet

Per Bussi contano di più gli alberi che le ninfee di Monet

Finalmente tradotto in italiano il pluripremiato romanzo giallo di Michel Bussi, dal giugno 2016 ma in concreto negli scaffali delle librerie da meno, il libro promette di far parlare di sé anche in Italia stando alle autorevoli critiche d’oltralpe, gli ingredienti ci sono tutti. Ninfee vuol dire Monet, che a sua volta ci porta a Giverny, dove lo stesso si creò il paesaggio riproposto in tante visioni sempre uguali e sempre diverse, sino a condurre fuori dall’Impressionismo, indicando la via alla futura pittura. E

«[…] saranno proprio queste tele a far nascere negli Stati Uniti quella che il mondo chiamerà arte astratta …». (p. 187)

Così il conservatore del museo delle Belle arti di Rouen, sentito come consulente nell’ambito delle indagini di polizia, che infine sentenzia in una mirabile sintesi urbanistica e artistica:

«“Le Ninfee troneggiano sull’asse trionfale! L’asse maggiore, quello che passa per Notre-Dame, il Louvre, le Tuileries, la Concorde, gli Champs-Élysées, l’Arc de Triomphe, l’Arche de la Défense … Le Ninfee sui muri dell’Orangerie sono allineate esattamente su quell’asse che simbolizza l’intera storia della Francia, che si estende da est a ovest seguendo il cammino del sole. E guarda caso Monet ha dipinto il laghetto delle ninfee in diversi momenti della giornata, dal mattino alla sera, mostrando anche lui il cammino del sole”». (p. 187)

E questo è solo lo sfondo, ça va sans dire. Per questa opera vale ancora di più la regola di non dare la benché minima indicazione circa l’enigma dei delittuosi eventi. Il ritmo più che la trama, l’alternarsi delle partecipazioni, dei punti di vista (della voce narrante, in primis), una certa attenzione / concentrazione cui è chiamato il lettore compiranno il sortilegio: via via proseguendo nella lettura, scandita da una segmentazione temporale giornaliera cui corrisponde un criptico indice del libro, il grado di coinvolgimento salirà, ma preparatevi a tenere alto l’interesse, a non perdete tempo a fare illazioni. Il finale lo merita, perché è semplicemente imprevedibile.

La magistrale quanto innovativa tecnica espositiva e gli espedienti narrativi introdotti, lasciano al lettore la sensazione di aver vissuto un tempo decisamente più lungo, pluridecennale o, meglio, di essere stati coinvolti nei diversi periodi della vita: un’infanzia, una giovinezza, una vecchiaia; anche se tutto avviene in tredici giorni in un paesino, tra due omicidi.

Ma è possibile una diversa analisi del romanzo: una rivisitazione seguendo la partecipazione di una serie di muti protagonisti vegetali, primo tra gli altri il pioppo, che accompagnano il lettore nelle quasi quattrocento pagine.

I pioppi

Questo genere di alberi non poteva mancare, se solo si ricordano i soggetti di Monet, oltre le famose ninfee già citate. Sono proprio questi alberi rappresentati nel contesto paesaggistico dell’opera in esame, ad essere lo sfondo in Covoni presso Giverny, opera del 1889, ora al museo Puškin di Mosca, uno dei quindici quadri con questo soggetto esposti nel 1891.

I pioppi entrano in scena subito, la pagina che apre il Primo giorno ci segnala il colore ocra delle radici in relazione al verde delle erbe selvatiche del ruscello, (p. 17) da cui i personaggi non si allontaneranno mai troppo o a lungo. Due pagine dopo il legame viene esplicitato: la statua di Claude Monet sta tra i pioppi e gli immensi farfaracci: (p.19)

«il maestro sorveglia la “prateria”. La sua prateria! I campi, dal ruscello all’Epte e dall’Epte alla Senna, le file di pioppi, i poggi boscosi mossi come onde». (p. 19)

A sottolineare il boschetto di pioppi della prateria, (p. 26) quasi un fondale teatrale, è l’entrata in campo di un co-protagonista animale o la sagoma di un amico. (p. 77) La prateria e i pioppi sono elementi costitutivi del micro paesaggio come il paese di Giverny, il ponte, il giardino di Monet – il giardino d’acqua (p. 203) –, il Mulino delle Chennevières, il campo di grano (p. 238) e le nuvole che non si staccano dalle collinette boscose, (p. 28) cui va aggiunta l’isola delle Ortiche o meglio la penisola generata dal confluire dell’Epte nella Senna. (p. 74)

La formazione dei pioppi, vista da in mezzo alle spighe del campo di grano, assume la configurazione a cortina chiudendo l’orizzonte. (p. 140-1) Quasi sipari di un teatro, «Il sole si è appena nascosto dietro l’ultima cortina di pioppi». (p. 276) Sul confine o al limite si piantano i pioppi, come dice Orazio, citato da Mario Rigoni Stern. (MRS p. 84)

Al tardo tramonto di quella latitudine e stagione, il sole «gioca a nascondino con i pioppi», (p. 168) quando

«non brilla più. Eppure non sono ancora le dieci. Di colpo è buio, come se il sole avesse bruscamente cambiato gioco, come se dal nascondino fra i pioppi fosse passato a mosca cieca, come se fosse rimasto dietro un pioppo a contare fino a venti per dare alla luna un po’ di vantaggio …». (p. 169)

Nei momenti topici essi diventano i «pioppi di Monet» oltre i quali lo sguardo vola lontano. (p. 323) Quasi quaranta volte viene nominato questo albero, che assieme al salice, al ciliegio e al tiglio, come vedremo, domina il paesaggio verticale. Vi è anche una densità di citazione, sedici volte in ventiquattro pagine consecutive. Ed è allora che la costruzione letteraria dell’Autore lascia intravedere piccole fessure da cui cogliere elementi conoscitivi per la risoluzione del caso. Troppo anguste, ahimè! Bisognerà arrivare alla fine e vi coglierà un senso di stupore. Vi sembrerà di essere stati beffati, subito dopo un gran bisogno di ritornare su alcune pagine del lavoro di Bussi, docente all’Università di Rouen, e non potrete fare a meno dell’indice, guardando nei due Quadri che lo compongono “Impressioni” ed “Esposizione”. Ma quel che più conta vi verrà in mente il nome di qualcuno di vostra conoscenza cui suggerirne la lettura, stante la genialità del palinsesto narrativo.

Il pioppo connota l’isola delle Ortiche, tutto quanto avviene è in rapporto con questo albero, con il «boschetto di pioppi che Monet conosceva». (p. 315) Dove

«La radura somiglia a un tempio antico con i pioppi come colonne. Silenziosa e sacra. Si intuisce, dietro la cortina degli alberi, l’effervescenza del corridoio della Senna, come un’eco lontana». (p. 324-5)

Chi vi arriva per «un appuntamento galante, una cosa riservata», (p. 317) in anticipo lasciando la moto «ferma ai piedi di un pioppo» (p. 316) ha questa sensazione camminando nel boschetto:

«Il paesaggio è strano: l’Epte, circondato da alberi dritti e allineati come un reggimento sull’attenti, sembra più un canale che un fiume. L’impressione si consolida alla confluenza, dove le acque dell’immensa Senna scorrono con calma infischiandosene allegramente del ridicolo apporto del piccolo Epte. Mentre le rive dell’Epte appaiono cristallizzate in un’eternità immutabile, verso la Senna si intuisce la vita che brulica, la città, le fabbriche, le chiatte, la strada ferrata, i commerci … Come se la Senna fosse una rumorosa autostrada che attraversa la campagna e l’Epte un itinerario alternativo su una dimenticata strada dipartimentale». (p. 316)

«[…] in un raggio di sole che attraversa i pioppi» (p. 316) si può stare. Quando la situazione prende una piega pericolosa, si può scoppiare a ridere, ma «Il vento agita ritmicamente le foglie di pioppi, noccioli e castagni». (p. 319) Sotto i pioppi si può morire? (p.321) Il silenzio è lacerato sotto i pioppi. (p. 327) «Sotto i pioppi dell’isola delle Ortiche regna un silenzio da cattedrale.» (p. 333) e il tronco del primo pioppo può riservare sorprese. (p. 333)

È la corteccia del pioppo in primissimo piano quando le mani vi si aggrappano: (p. 334) «I tronchi verticali danzano intorno come giganti satanici», «Trema di freddo all’ombra degli alberi». (p. 334) Il tronco del pioppo è abbracciato, «ci si strofina come per asciugarsi alla corteccia, come per sposarne la forza», (p. 338) «si lascia scivolare lentamente lungo il tronco», la corteccia torna in primo piano. (p. 339)

Una presenza umana può sembrare fondamentale in determinati momenti «C’è e basta, come il pioppo a cui si sta appoggiando. […] è un albero che le hanno piantato accanto, […]». (p. 339)

Diversa l’impressione di chi frequenta quel luogo da sempre:

«[…] quel posto incuneato fra due fiumi mi ha sempre fatto pensare a un’estremità del mondo. Non come un’isola, non esageriamo, ma sicuramente come una penisola. Il vento agita le foglie dei pioppi come se venisse dall’alto mare, neanche quel ridicolo ruscello largo meno di due metri, l’Epte, fosse invalicabile come un oceano. In altre parole è come se questo banalissimo campo di ortiche affacciasse in realtà sull’orlo del mondo e solo Monet l’avesse capito …» (p. 348-9) .

Fino a quando «I pioppi sembrano muti per l’eternità». (p. 349)

L’anziano commissario in quello che gli appare subito un «parallelo ridicolo» (p. 303) vede insieme – unite dal medesimo bisogno di evasione – Emma di Flaubert e la trentaseienne protagonista. Il riferimento letterario ha richiamato alla mente il giardino di Madame e, con un po’ di fatica ho ritrovato nel romanzo il punto preciso che ricordavo, il paragrafo dove l’ultimo incontro notturno della coppia di amanti Emma Bovary e Rodolphe Boulanger, nel giardino di lei, si apre con la luna che «Saliva rapida fra i rami dei pioppi che qua e là la nascondevano come una lacera tenda nera» e si chiude con le ombre «dei salici, che ferme si stampavano sull’erba». (GF p. 220) Era un giardino arborato (GF p. 173) , vi si accedeva scendendo la scala esterna del palazzetto a Yonville-l’Abbaye «un borgo a otto leghe da Rouen» (GF p. 207-79) , con un pergolato (GF p. 187) e il terrazzo in fondo che dava sul fiume (GF p. 181) , «silenzioso, rapido e freddo allo sguardo» dove «Talvolta, sulla punta dei giunchi o sulle foglie delle ninfee, si muoveva o si posava un insetto dalle zampe filiformi» (GF p. 107) , mentre nel castello di lui il cortile d’onore era «cinto da una doppia fila di tigli opulenti dai lunghi rami». (GF p. 339)

I salici

Se il pioppo è dal punto di vista vegetazionale il signore indiscusso della penisola delle Ortiche, sino ad assumere nel romanzo il ruolo – quanto meno – di comparsa, se non si vuole riconoscergli una parte da attore, il salice appartiene all’ambito del ruscello e del «giardino d’acqua» il laghetto delle ninfee, qualcosa di particolarmente personale, del singolo, del testimone, legato indissolubilmente al tema delle ninfee come testimoniano, tra gli altri, la grande tela I due salici al Musée de l’Orangerie, che si può ammirare nella seconda sala sulla parete est, o il Salice piangente del 1918 al Columbus Museum of Art (Ohio), che nel 2014 è rimasto in Veneto per due occasioni espositive.

Questo albero viene presentato da subito simultaneamente al pioppo con lo stesso particolare delle radici nell’acqua (p. 17) , a ribadire la sua forza nel legare il terreno spondale lungo i fiumi e i torrenti. (MRS p. 73)

In più occasioni ne vengono evidenziati i rami e le foglie (p. 27, 40, 186, 336, 346, 354 / p. 114, 356) . C’è la componente sonora nella «terribile calma che regna sulle rive dello stagno» ossia il «lieve frangersi delle foglie di glicine o salice che ogni tanto cadono in acqua» (p. 356) e l’equilibrata connessione tra due luoghi simbolici come il ponte e l’albero, «all’altro capo dello stagno, sul ponticello verde lambito dai rami del salice piangente»: (p. 354) un volume architettonico.

Il salice è anche un luogo preciso «[…] sotto il salice piangente con i rami che si tuffano in acqua […]» (p. 336) o «in mezzo all’erba, sotto il salice», (p. 345) sono posti dove accadono fatti che segnano la segmentata trama del romanzo fatto di paragrafi brevi numerati. Visti da sotto, contro il cielo senza nuvole, i rami del salice sono «graffi su uno schermo azzurro». (p. 346) Il riflesso dei salici nell’acqua rientra d’autorità nella spiegazione delle opposte «linee di fuga» presenti nella composizione dei quadri di Monet. Quella orizzontale «la linea di fuga di foglie e fiori di ninfea, che corrisponde grossomodo alla superficie dell’acqua», e poi quella verticale «dei riflessi nell’acqua: i fiori di glicine sugli argini, i rami di salice, la luce del sole, le ombre delle nuvole». (p. 207) Nel quadro del romanzo, prima delle «pennellate anarchiche» (p. 355) saranno «linee di fuga che partono in tutte le direzioni». (p. 309)

Le ninfee sono l’esito assoluto della costante ricerca anche teorica condotta da Claude Monet, che mi sembra di rivedere nel pittore barbuto (p. 72, 138) che nel romanzo vive in mezzo ai suoi quattro cavalletti (p. 72-73) nel campo di grano, (p. 169) en plein air. Ricerca artistica che passa tra e nei due cicli dei covoni di fieno e delle cattedrali di Rouen; quest’ultimo si compone di «ventotto quadri in tutto, diversi a seconda dell’ora della giornata o del clima», (p. 182) come riporta la guida che consulta l’ispettore prima di entrare – atteso – nel museo delle Belle arti della città, per una consulenza tecnica d’ufficio.

Il ciliegio

Un salice, vicino a due abeti, segna un luogo e dà un ruolo alla radura nei pressi del cortile davanti al mulino delle Chennevières. (p. 385) Si sa fin dall’inizio che «è di gran lunga il più bell’edificio dalle parti del giardino di Monet, l’unico costruito lungo il ruscello» (p. 19-20) , agli occhi dell’investigatore appare come «uno strano edificio a graticcio un po’ sbilenco dominato da una specie di torre a quattro piani». (p. 27) Oggettivamente

«Il tizio che all’epoca ha costruito il mulino, e, soprattutto il torrione in mezzo, doveva avere già in testa l’idea di poter sorvegliare l’intero paese dalla finestra del quarto piano, […]. Una vista panoramica su tutto il paese e la prateria fino quasi all’isola delle Ortiche e sul ruscello fino ai giardini di Monet, e […]» (p. 227)

Il ciliegio del cortile chiuso da muri (p. 384) è «grande» (p. 33), «immenso», «centenario» (p. 112), «fa ombra su quasi tutto il cortile» (p. 239). Ne viene segnalata una particolarità:

«Vede, tra le foglie, quei riflessi che brillano al sole? Sono strisce di carta argentata, semplice carta argentata tagliata in nastri. È un sistema semplicissimo per tenere lontani gli uccelli, che sono predatori di ciliegie […]». (p. 112)

Quei nastri serviranno anche ad altro. Un ragazzino salirà su quell’albero e ne scenderà «Nella mano destra brillano due nastri d’argento». (p. 240) Saranno presenti ancora nella penultima pagina. (p. 393)

L’albero entra nel quadro di una delle tre protagoniste, la più giovane e talentuosa, così:

«Il suo pennello non si è mai mosso così velocemente per riprodurre in macchie bianche e ocra il mulino, e la torre sbilenca, il grande albero rosso ciliegia e argento in mezzo al cortile, la ruota a pale immersa nell’acqua corrente» (p. 136)

Il co-protagonista animale «dormiva all’ombra del ciliegio nel cortile del mulino della strega» prima di una crudele scoperta e vi tornerà. (p. 215 e 218, 240, 243) Frequenterà anche uno dei tigli della piazzetta di Giverny e non passerà inosservato. (p. 47-48, 302)

Si teme una disgrazia «ai piedi del ciliegio». (p. 388) Il ciliegio è individuo.

I tigli

Ampia la presenza scenica del tiglio nello scritto, e di Monet si ricordi I tigli à Poissy opera del 1882. È noto che Poissy dista cinquanta chilometri a sud-est di Giverny.

I tigli hanno un ruolo istituzionale, sono nella piazzetta in cui prospettano il bianco municipio, (p. 49) la scuola e la fermata della corriera con le panchine. (p. 47) È anche un posteggio, l’inquirente «parcheggia la motocicletta sotto il tiglio della piazza del municipio». (p. 108 e 301)

Non si può dimenticare «il rumore del vento fra i tigli». (p. 49) «Le foglie dei tigli della piazza del municipio danzano dolcemente al vento» (p. 311) nella notte del perigeo lunare.

I tigli si vedono dalla finestrella rotonda della mansarda, sopra la scuola, dove abita la maestra, (p. 99) un’altra protagonista, la più furba. Quando durante un incontro «sotto i tigli» (p. 263) sentirà «che le gambe non la reggono più, si lascia andare contro il tronco chiaro dell’albero». (p. 264)

«La piazza del municipio non è cambiata in tutti questi anni, né le sue pietre bianche né l’ombra dei tigli» (p. 381-2) altro è mutato.

Dalla sua scorza macerata – secondo Plinio, ricordato da Rigoni Stern – si producevano lunghe fibre con cui intrecciare i nastri per le corone dedicate a Venere e le fasce per i guerrieri. (MRS p. 36)

Queste tre tipologie di alberi con la loro presenza continua tagliano i piani temporali del romanzo. Delineano lo spazio, creando luoghi. Tengono insieme i personaggi. «Gli alberi non si spostano, ma possiedono un loro carattere che comunicano in vari modi: con la bellezza, con l’oscillazione delle fronde, con la consistenza delle fibre. E anche con la diversa reazione che hanno nei confronti di chi li tocca», come sostiene Mauro Corona.

Ho seguito un percorso poco convenzionale nel suggerire questo lavoro di Bussi, puntando l’attenzione sulla natura che fa da cornice all’intrigante giallo, spero di aver aumentato la curiosità di un potenziale lettore, già stuzzicato dalle autentiche informazioni che lo scrittore fornisce sulla vita, le opere e l’eredità di Claude Monet, a novanta anni dalla morte. Lo stesso per gli effettivi luoghi, che vale la pena di visitare a circa settanta chilometri da Parigi fruendo dell’iniziativa Le Train de l’Impressionnisme, a cura de La Région Normandie (it.normandie-tourisme.fr). Anche per vedere quanto la rappresentazione dello spazio in letteratura corrisponda alla realtà attuale, se ne distacchi o la distorca, sempre Con gli occhi aperti come fanno gli scrittori presenti nella recente antologia – 20 autori per 20 luoghi – a cura di Andrea Cortellessa.

Michel Bussi, Ninfee nere, 2016, edizioni e/o, Roma, pp. 394 (tit. orig. Nymphéas Noirs, 2011; trad. Alberto Bracci Testasecca)

Riferimenti:

• Mario Rigoni Stern, Arboreto salvatico, 1991, Einaudi, Torino

• Mauro Corona, Le voci del bosco, 1998, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone

• Jacques Brosse, Mitologia degli alberi. Dal giardino dell’Eden al legno della Croce, 1994, RCS Libri, Milano (tit. orig. Mythologie des arbres, 1989, trad. Gioia Angiolillo Zannino)

Massimo Pasqualin

Laurea in architettura nel 1980, ha pubblicato volumi in materia di beni culturali e di cartografia, ha svolto attività di ricerca e didattica presso lo IUAV. Si interessa di architettura, territorio e cartografia nella letteratura, attualmente si sta occupando della Prima guerra mondiale e dei colli Euganei. Lo scritto qui presentato è dovuto anche ad un recente soggiorno in Francia e in particolare a Giverny.

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