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Foscolo (1)

Il paesaggio come “fonte inesausta di piacere”

«Su la cima del monte indorato da’ pacifici raggi del Sole che va mancando, io mi vedo accerchiato da una catena di colli su’ quali ondeggiano le messi, e si scuotono le viti sostenute in ricchi festoni dagli ulivi e dagli olmi: le balze e i gioghi lontani vanno sempre crescendo come se gli uni fossero imposti su gli altri. Di sotto a me le coste del monte sono spaccate in burroni infecondi fra i quali si vedono offuscarsi le ombre della sera, che a poco a poco s’innalzano; il fondo oscuro e orribile sembra la bocca di una voragine. Nella falda del mezzogiorno l’aria è signoreggiata dal bosco che sovrasta e offusca la valle dove pascolano al fresco le pecore, e pendono dall’erta le capre sbrancate. Cantano flebilmente gli uccelli come se piangessero il giorno che muore, mugghiano le giovenche, e il vento pare che si compiaccia del sussurar delle fronde. Ma da settentrione si dividono i colli, e s’apre all’occhio una interminabile pianura: si distinguono ne’ campi vicini i buoi che tornano a casa: lo stanco agricoltore li siegue appoggiato al suo bastone; e mentre le madri e le mogli apparecchiano la cena alla affaticata famigliuola, fumano lontane ville ancor biancicanti, e le capanne disperse per la campagna. I pastori mungono il gregge, e la vecchierella che stava filando su la porta dell’ovile, abbandona il lavoro e va carezzando e fregando il torello, e gli agneletti che belano intorno alle loro madri. La vista intanto si va dilungando, e dopo lunghissime file di alberi e di campi, termina nell’orizzonte dove tutto si minora e si confonde. Lancia il Sole partendo pochi raggi, come se quelli fossero gli estremi addio che dà alla Natura; e le nuvole rosseggiano, poi vanno languendo, e pallide finalmente si abbujano: allora la pianura si perde, l’ombre si diffondono su la faccia della terra; ed io, quasi in mezzo all’oceano, da quella parte non trovo che il cielo.» (p. 62)

La visione aerea

Così il 13 maggio 1798, l’umore e la passione sono altalenanti – anche se «Sì; ti ho baciato Teresa» (p. 65) – e qualche settimana dopo si chiede «Dov’è la natura? Dov’è la sua immensa bellezza?» e in particolare significativamente richiama «l’intreccio pittoresco de’ colli ch’io contemplava dalla pianura innalzandomi con l’immaginazione nelle regioni dei cieli» (p. 74). Nella visione aerea sono compresi le «falde coperte di ombre ospitali», «rupi nude, e i «precipizj».

«Io domino le valli e le campagne soggette; magnifica ed inesausta creazione! I miei sguardi e i miei pensieri si perdono nel lontano orizzonte – Vo salendo, e sto lì – ritto – anelante – guardo in giù: ahi voragine! – alzo gli occhi inorridito e scendo precipitoso appiè del colle dove la valle è più fosca. Un boschetto di giovani querce mi protegge dai venti e dal sole; due rivi d’acqua mormorano qua e là sommessamente; i rami bisbigliano, e un rosignuolo – ho sgridato un pastore che era venuto per rapire dal nido i suoi pargoletti:» (p. 69)

• Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (1796 – 1817), 2004, Euromeeting Italiana, Padova

Foscolo in Santa Croce in Firenze, aprile 2013. Fonte dell'immagine: Archivio-foto Pasqualin

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