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L'architetto Mario Soldati

Una prestigiosa università progettata e in avanzata realizzazione in America, alcuni problemi per la definizione degli ultimi particolari. Una notizia raggiunge l’architetto che sta dirigendo i lavori e lo porta ad una lunga confessione. Siamo alla fine degli anni Settanta, ci sono problemi coi telefoni sulle chiamate intercontinentali.

Viene ripercorsa una vacanza di un mese per spiegare una vita coniugale. Lui alla moglie di molto più giovane.

Precise le implicazioni della professione sul menage familiare, Soldati conosce il mestiere a quei livelli. Il nostro è docente universitario, conferenziere internazionale e professionista affermato quando riceve l’incarico che lo porta a lunghi soggiorni oltre Atlantico.

Molte le circostanze ben definite dell’attività architettonica, altro è la ricostruzione del rapporto coniugale, in un intreccio narrativo quasi filmico. Siamo decisamente negli anni della maturità di Soldati che si avvale dell’esperienza globale di una vita intesa come biografia e somma di esperienze professionali diverse, ha quasi ottanta anni quando esce questo romanzo. Non mancano quindi gli elementi autobiografici.

Da leggere e da far leggere per capire come si scrive per essere letti. Ci sono diversi espedienti narrativi e conseguenti colpi di scena.

Il romanzo inizia con l'architetto protagonista in cantiere, esattamente in alto sullo «scaffolding», ovvero sul ponteggio definito «l'intrico ortogonale e mondrianesco delle nere tubature» (p. 7) e sta camminando sul «planking» ossia il tavolato che costituisce il pavimento del ponteggio (p. 8). Due termini tecnici che contestualizzano sia il lavoro che il luogo dal punto di vista della lingua.

Venticinque chilometri a nord di Chicago, Wilmette è il luogo concreto dell'opera affidata a Vittorio Franzi, architetto milanese che nel 1929 si era perfezionato in America, a Chicago appunto. Figlio e nipote di architetti (p. 141 e 157) lo ritroviamo molti anni dopo - sono gli anni Settanta - incaricato della progettazione della «International University of the Humanities» nella stessa città (p. 12). Conquistato dal fascino di Frank Lloyd Wright, per il quale «l'architettura doveva essere antiformale, organica, figlia del genius loci e delle proprietà specifiche dell'ambiente: clima, paesaggio, terreno, vegetazione, materiali di costruzione» (p. 13) si mette solo mentalmente all'opera.

All'inizio - prima di firmare il contratto professionale d'incarico - il cantiere era la «baracca degli uffici» (p. 8), «una grossa baracca prefabbricata, provvisoria sede amministrativa del cantiere e per il momento unico immobile che spiccava, verniciato di un lucidissimo verdevagone» (p. 16) Il volume della baracca articolato in più stanze era «così ben scaldato che bisognava tenere aperte le finestre» (p. 16) Nella vasta area del cantiere vi erano in azione «le macchine di misurazione e trivellazione» (p. 21-22) e il nostro architetto assisteva alle relative operazioni comprese le necessarie fotografie (p. 15)

Sulla riva occidentale del lago Michigan, «Proprio la base del faro, grazie alla quota del suo naturale rilievo su tutte le modeste ondulazioni del terreno per un raggio di alcune miglia, era il solo punto dove si poteva fantasticare, sognare di vedere sorgere, un po' come nel fenomeno detto fata morgana, un compesso architettonico di una serie di edifici in razionale armonia con la struttura del paesaggio.» (p. 18-19)

«La base del faro era un parallelepipedo, quattro alti gradini di labradorite.» (p. 18) Minerale principale di una roccia chiamata appunto labradorite, utilizzata per durezza e bellezza, prende il nome della regione canadese del Labrador, particolare per i riflessi azzurri e violacei, in taluni tagli può mostrare l'intero spettro dei colori.

Fonte dell'immagine: Gregory Phillips, Detail of labradorite feldspar displaying typical labradorescence, voce "labradonite" in wikipedia, URL consultato il 20 ottobre 2016.

«Il faro? Ma sì, il faro bisognava demolirlo! […] Il faro, il simpatico faro a cui dovevo la mia idea, era dunque il primo ostacolo che si doveva abbattere per realizzarla.» (p. 22) Ma si saprà che anche se «Nella improvvisa, delirante esaltazione con cui avevo immaginato la I. U. H. mi era parso che distruggerlo fosse indispensabile ... ebbene, sarebbe stato un errore madornale! […] Il piccolo faro è stato inglobato nell'ampio disegno della Università Umanistica mediante semplici elementi digradanti, organici, provvidi al traffico, che lo raccordano ai moduli dell'edificio centrale». (p. 115 - 116)

faro

Fuori dal romanzo ancora ai giorni nostri, esiste a sud del Wilmette Harbor, poche decine di metri all'interno della costa sabbiosa il Grosse Point Lighthouse. Con la denominazione Grosse Point Light Station (1872) l'edificio è stato riconosciuto nel 1999 dal Servizio nazionale dei parchi - US Department of the interior, come "National Historic Landmark", in quanto significativo nella storia degli USA. La North Western University con numerosi edifici ed attrezzature si estende a sud del faro, lungo la costa lacuale.

Fonte dell'immagine: U. S. Light-house Establishment, Lake Coast Light-house at Grosse Point - Lake Michigan, Illinois, 1873, in "History", grossepointlighthouse.net , URL consultato il 20 ottobre 2016

«L'indomani del giorno in cui mi era stata fatta la straordinaria proposta di costruire la I. U. H., il direttore dell'albergo Drake dove ero sceso mi comunicò una novità, avevo ricevuto l'ordine di traslocarmi. Senz'altro mi accompagnò al settimo piano. Era una suite sontuosa, principesca: camera da letto, salotto, studio.» (p. 15)

Fonte dell'immagine: postcard of the Drake Hotel, Chicago, Illinois, United States printed in 1920, voce "Drake Hotel (Chicago)" in wikipedia, URL consultato il 20 ottobre 2016. I progettisti sono Benjamin Marshall e Charles Eli Fox, l'edificio, censito nel National Register of Historic Places Collection, è l'albergo dove soggiorna l'architetto protagonista del romanzo.

«Intanto ero entrato nello studio, avevo acceso due sfolgoranti lampade incappucciate di vetri verdi e trasparenti: illuminavano i due tavoli che si fronteggiavano, quello per scrivere e quello, molto più grande, per disegnare. Mi gettai sulla sedia girevole che stava tra l'uno e l'altro: si alzava e abbassava idraulicamente, premendo un tasto, come quelle dei barbieri e dei dentisti. La trovai voltata verso il tavolo da disegno: […] C'era, stesa sopra, una spessa risma di grandi fogli e, vicino, una vaschetta piena di matite di tutti i generi e di tutti i colori.» (p. 25)

«Riprendo la matita, mi tolgo gli occhiali, mi curvo sul tavolo, e mi accorgo che nella spessa, enorme risma di Fabriano sono accumulati, l'uno sull'altro, parte fogli bianchi e parte planimetrie della Baia di Wilmette riprodotte in varie scale. Scelgo un foglio a caso, e con quattro colpi traccio un quadrato. Alla metà esatta del lato che sii affaccia al lago, la matita passa su un preesistente quadratino nero, di un millimetro per un millimetro, che rappresenta il faro.» (p. 30)

«Chi è un architetto? L'architetto è un sarto che riveste l'umanità. E l'architettura è l'arte delle arti, quella che le riunisce e suggerisce tutte.» (p. 20) E' «un'attività intellettuale e artistica» (p. 162):

il «mon péché favori» (p. 131)

«Per progettare, ci vuole la notte. Ma per rivedere e licenziare un progetto, è molto meglio il silenzio e la freschezza, la lucidità delle cinque fino alle sette di mattina.» (p. 147)

Se l'architetto è un sarto, affermazione che richiama i concetti operativi di Renzo Piano per L'anticittà (Stefano Boeri, 2011) e il Cucire e legare di Bernardo Secchi (1983), è un rammendo quello che riprendendo la trama del tessuto relazionale esistente o suscettibile, viene esemplificato - a parole, stiamo pur sempre leggendo un romanzo - per la ri-comprensione del faro, divenuto icona della progettazione a Wilmette. Lo spunto per dare notizia dell'avvenuta ricucitura è l'avvistamento della «Lanterna, il faro di Genova» (p. 115) porto di rientro per Milano del protagonista. Mario Soldati nel novembre 1929 prima di salpare da Genova per New York con il nuovissimo transatlantico Conte Biancamano del Lloyd sabaudo, compone la lirica "Partenza per l'America" dove scrive del "lento circolar d'ignoti fari".

Impossibile per l'Autore del romanzo prescindere dalla "Scuola di Chicago" e dalla figura di William Le Baron Jenney (1832 - 1907), architetto e ingegnere progettista di quello che viene considerato il primo grattacielo in assoluto, realizzato in Chiacago nel 1884, l' Home Insurance Building. (p. 12) Per capire in breve il momento storico basti dire che si è laureato nel 1856 a Parigi, un anno dopo il suo compagno di classe, Gustave Eiffel, il ben noto progettista della Torre Eiffel.

La personalità di Jenney deve aver colpito Soldati se l'assistente dell'architetto Franzi si chiama Lizzie la «subalterna catastrofica» (p. 7 e 167), come era chiamata confidenzialmente la moglie di Jenney, Elizabeth Hannah, sposata nel maggio del 1867. E non è un caso: perchè alla fine del romanzo, al fondo dell'ultima pagina (p. 167) conosceremo il cognome della prima in Jacobson, che richiama da vicino quello della seconda che è Cobb.

La Lizzie di Soldati è «Carina, simpatica, giovane, ebrea, americana, sapeva bene il francese, il tedesco e lo spagnolo. Ma soprattutto, era intelligentissima» (p. 32), imparerà discretamento anche l'italiano. (p. 167)

Fonte dell'immagine: Una bimba sdraiata sul pavimento di vetro trasparente della terrazza profonda 1,22 m sullo Skydeck al 103° piano della Sears Tower, a Chicago, LaPresse, in Chicago e i grattacieli affacciati sul lago, URL consultato il 20 ottobre 2016.

Sears Tower è l'edificio più alto degli Stati Uniti, si affaccia sul lago Michigan, il lago più grande degli USA.

Nel romanzo c'è più di un tratto autobiografico nella figura dell'architetto, voce narrante: per primo l'essergli coetaneo, poi il comune liceo dai Gesuiti, quindi la formazione artistica, infine - ma forse si coglie dell'altro - l'esperienza americana del 1929 (p. 12), che per Soldati è stata l'insegnamento come borsista presso la Columbia University (1929 - 31), ma anche le insormontabili difficoltà burocratiche di diventare «a citizen of U. S.» (p. 15)

Il Drake frequentato effettivamente era il «primo albergo di Chicago» (MS 1976, p. 115), la "Prima notte" qui è un capitolo di America primo amore, ma la camera non è la suite.

Il Mic del romanzo, è il custode della baracca, jugoslavo, giovane, simpaticissimo, capelli biondi e riccioluti, volto scavato e pallido, sorriso malizioso e buono (p. 17), ma aveva conosciuto un Mic, sua guida a Chicago, «il migliore degli uomini», un croato quarantenne in città da venti, non bello, faceva il «sorvegliante, per non dire aguzzino» all'ufficio di collocamento, con il nostro fu sempre «tutto dolcezza, premura, servigio» (MS 1976, p. 120).

La North Western University con i suoi «verdi campi» (MS 1976, p. 120) era allora un limite: oltre c'era il «settore di quella immensa Chicago povera, sporca, tetra, dalle case basse, dalle squallide avenues, che si espande dietro la superba Chicago delle rive del lago, la Chicago stretta ma lunga, irta di colossali grattacieli e affacciata sull'asfalto scintillante di Michigan Avenue» (MS 1976, p. 121).

Nulla diremo - a beneficio dei lettori meno interessati all'architettura - sullo «sciagurato architetto» che non aveva resistito alla tentazione di «architettare» una crociera, (p. 164) per sè e la moglie Nini, padovana (p. 73), segno Ariete (p. 39), ventidue anni più giovane (p. 162), con il Paolo Toscanelli, ben più piccolo del leggendario Conte Biancamano.

 

• Mario Soldati, L'architetto, Rizzoli, Milano 1985

• Mario Soldati, America primo amore [1935], Arnoldo Mondadori Editore - Oscar Mondadori, Milano 1976, in partricolare la parte III Chicago, p. 113 - 142 e la Storia di una copertina, p. 197 - 203

Fonte dell'immagine: copertina della prima edizione (Bemporad, Firenze 1935) riproposta nell'edizione citata, in mariosoldati.it , URL consultato il 20 ottobre 2016.

«Lo sfondo era azzurro e la scritta rossa. Finalmente, col pennello intinto di blu, [Carlo Levi] aveva preparato il disegno ultimo e buono, quello che avrei dovuto far avere all'editore: era la forma geografica degli Stati Uniti, che però era anche la forma di una diavolessa accosciata, e una sovrapposta, diafana immagine dei gratacieli.» (MS 1976, p. 200) E ancora al riguardo: «Sulla copertina del libro un'affascinante diavolessa è adagiata in atteggiamento di riposo, non fosse per quelle gambe che sembrano oscillare a mezz'aria, come vesciche piene di vento; al di sopra, una specie di proiezione astrale o metafisica della stessa creatura genera dal suo grembo lo spettrale organo dei grattacieli di Manhattan.» (Mario Praz, "La Stampa", 13 luglio 1935, citato da Soldati in MS 1976, p. 202.

• Mario Soldati (a cura di Giacomo Jori), Boccaccino [tesi di laurea in Storia dell'arte sul pittore ferrarese del Cinquecento, discussa a Torino con Lionello Venturi, 1927], Aragno, Torino 2009

• Raffaello Palumbo Mosca, "Ritrattino di Mario Soldati, o dell’umanità dell’arte (Schegge di autobiografia)", in Nuovi argomenti, 26 gennio 2016, in nuoviargomenti.net , URL consultato il 20 ottobre 2016

• Mario Soldati (a cura e con un saggio introduttivo di Bruno Falcetto), America e altri amori, Diari e scritti di viaggio, Arnoldo Mondadori Editore - I meridiani, Milano 2011. La "Partenza per l'America" è a p. 1321.

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