top of page

Carlo Sgorlon: salvate la tettoia cadente

Emilio muratore «Non volle tornare al mestiere di costruttore di carri, che aveva cominciato senza troppa convinzione, e si fece assumere come muratore da un’impresa di Galvaro. Scoprì che costruire case gli piaceva quasi quanto pitturare con i colori […].

Imparò il mestiere rapidamente. Era così veloce e instancabile che il suo pezzo di muro pareva venire su come se malta e mattoni si collocassero al loro posto da sè. Decifrafa con snella disinvoltura i disegni di geometri e architetti, e dove altri operai vedevano soltanto linee senza senso, lui riusciva a scorgere la costruzione già finità. Il direttore dei lavori e l’impresario lo guardavano con occhio lievemente preoccupato, come se Emilio nascondesse nella testa un meccanismo troppo perfetto per non destare perplessità.

Al ciscjelàt, dove tornava ogni sera con la bicicletta, che suscitava la meraviglia di chiunque la vedesse essendo la prima comperata in paese, riempiva la sua solitudine con libri di costruzioni, disegnando case e spaccati con la stecca e la squadra di legno. Penetrò i segreti dell’arte di costruire, con un’intuizione da vecchio esperto, sicchè gli attempati capimastri lo guardavano come un intruso rubamestieri.» (pag. 132-133)

Chiavi, tiranti e catene, Fonte dell'immagine: Adriano Di Barba, Riaprire la città [L'Aquila], 17 gennaio 2010, in Verso L'Aquila. la distanza tra il terremoto e l'informazione, URL consultato il 9 settembre 2016

La tettoia cadente «Costei [Romilda, cugina di Emilio] cercò di dimenticare la rapace instabilità dei tempi [dopo la Prima guerra mondiale] tuffandosi in lavori di restauro e di ripristino. Ricominciò ad avvolgere di sguardi affettuosi la tettoia cadente, serpeggiata da crepe geologiche, e si abbandonò a speranze sottili che fosse possibile risanarla. La costruzione era piena di tiranti metallici che passavano sotto le assi del soffitto, lungo le travi, e diventavano visibili perchè ribattuti sopra curiose arpe rugginose, di ferro massiccio, disseminate capricciosamente sul muro esterno. Progettò di chiamare al più presto i muratori, di far venire Emilio e la piccola impresa che egli aveva messo su per conto suo. Ma Emilio scosse subito il capo, dicendo che non c’era niente da fare.

“E perchè mai?” “Perchè i muri non sono sani. Convinciti che è perduta.” “Balle. Si può far tutto, basta volere.” “Non ne vale la pena. E’ solo una tettoia, senza niente di bello.”»

«Romilda non gli credette. […] Più che mai provava per le vecchie costruzioni della fattoria [il ciscjelàt] una pietà carnale e affettuosa. […] Era convinta che, essendo la costruzione un antico castello, nelle mura grosse un metro, a volte persino un mero e mezzo, ci fossero nicchie mascherate che custodissero tesori, affannosamente nascosti da proprietari morti da secoli, mentre erano incalzati da lontani squilli di tromba o campane a martello che annunciavano qualche invasione. […] Romilda tanto disse e tanto fece che Emilio si lasciò strappare la promessa di aggiustare l’antica tettoia, anche se erano fatica e denaro buttati dalla finestra. Ma non fece in tempo a cominciare i lavori. […] Erano stati proprio i quaranta centimetri di neve caduti a tradimento, da quando aveva cominciato a far buio, e la gente s’era chiusa in casa, a dare il ccolpo di graziaa alla costruzione. I pali del tetto, più gobbi di un cammello, mangiati dai tarli per secoli, si erano schiantati, il tetto era rovinato completamente, trascinando nella caduta anche brandelli di muro e dei pilastri, che ora si protendevano al cielo nevoso come moncherini di mutilati.» (pag. 173-4)

Preventivi spaventosi «[Romilda] Spaventata dal crollo della tettoia, cominciò a temere per tutti gli edifici della fattoria, e a guardarli con sospetto e preoccupazione. Decise di far rabberciare le costruzzioni. Ma pretendeva sempre delle rappezzaature, che Emilio regolarmente rifiutava di fare perchè sempre insensate. Spaventata dall’entità dei preventivi, che le provocavano improvvisi capogiri e le incendiavano il viso di emozioni da infarto, decideva subito di fare soltanto “il minimo indispensabile”, e così finiva per spendere il doppio.» (pag. 178)

Emilio lettore «Gli parve che il suo vero momento non fosse quello in cui disegnava case e progetti, che un ingegnere o un architetto avrebbero firmato, perchè egli era sfornito di titoli di studio, o quello in cui dirigeva il cantiere, ma quello dove si lasciava immergere nello sstaagno incantato della lettura.» (pag. 186)

La frasca «Eppure la passione costruttiva si andava rassodando dentro di lui. Cominciò ad essere dominato dal gusto di costruire e di restaurare. Non vedeva l’ora di aver coperto di tegole rosse e gialle il tetto di una casa per rizzare sul culmine la frasca verde, segno di una gioia edificativa e di un componimento che risaliva vertiginosamente indietro nel tempo. Forse erano stati i Celti a innalzarla per primi quando chiudevano il tetto delle loro palafitte e dei loro castellieri, chissà. Forse l’uso era antico come i roghi di Epifania, l’elezione dei re delle messi o l’uccisione del carnevale. Emilio era incalzato dalla passione di rimettere in sesto ciò che era stato rovinato dalla guerra. Di riparare vecchie case, vecchie chiese, fabbriche semidistrutte, dalle quali i disastri della guerra avevano esiliato la vita degli uomini, per aprirla a quella invadente delle erbace e delle lucertole.

Provò il piacere saporoso di sottrarre le cose alla rovina del tempo, di farle vivere più a lungo, ed era una continua rivincita sopra il sogno ricorrente della costruzione che si sfasciava, che continuava a perseguitarlo. Il rivolo di denaro che gli veniva dalla sua eredità gli permise di assumere cantieri più vasti e di costruire più lontano. Restava sordo alla sirena dei nuovi stili razionali, geometrici e senz’anima, e continuava a fluirgli dentro, invece, quello degli archi, dei porticati, degli androni dell’antica architettura contadina. Lentamente, insensibilmente finì per scivolare verso lavori di riparazione e di ripristino, piuttosto che verso costruzioni nuove, poichè la sua passione più vera era quella di conservare il passato.

Impiantava il suo quartier generale in vecchi conventi, svuotati dai frati all’epoca di Napoleone e diventati magazzini, fattorie, uffici ministeriali. Con tutte le risorse delle tecniche nuove ridava vigore a edifici cadenti minacciati dalla rovina. Rinsaldava fondamenta, sostituiva travi marcite, rifaceva tetti ingobbiti dal tempo. Riusciva a restituire energia e freschezza a vecchie costruzioni sulle queli il tempo aveva già allungato le sue mani rapaci, e sembravano aver già da qualche parte i segni dello sfacelo. […]

A un certo punto nel loro cuore rozzo e selvatico [«degli operai che lavoravano con lui, contadini senza terra, gente che sapeva tutto di vigne e di semine, anche se si trovava trafficare con mattoni e cemento»] cominciava a fiorire la passione di salvare un portico, un arco di pietra, e nella nebbia della loro ignoranza si disegnava la necessità di difendere la bellezza.» (pag. 189-190)

Un’impresa di restauri «L’impresa di costruzioni [di Emilio] conobbe una misurata prosperità, anche perchè si era specilizzata nel riparare l’antico piuttosto che costruire il moderno. Emilio andava nella direzione contraria rispetto agli altri costruttori, i quali invece avevano assimilato l’idea che bisognava abbattere il vecchio per costruire nel nuovo stile, dinamico ed energico, perchè la rivoluzione aveva fatta piazza pulita del mondo antico e aveva dato inizio a una nuova era.» (pag. 215)

Tornano i tiranti Alcuni decenni dopo «Emilio notò che molte case avevano tiranti assicurati all’esterno da sbarre di ferro dalle forme più varie, diritte, a parentesi, ad arpa. Si ricordò che anche nelle costruzioni del ciscjelàt vi erano edifici con qualcosa di simile, soprattutto nella tettoia che Romilda non aveva fatto in tempo a riparare. Erano dunque accorgimenti provocati da antiche terremoti. Ma lui lo apprendeva appena adesso, perchè i segni servivano a decifrare un fatto soltanto dopo che esso era accaduto.» (pag. 326)

• Carlo Sgorlon, La carrozza di rame, 1979, A. Mondadori, Milano

Post in evidenza
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
Cerca per tag
Categorie
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page